Fare il coach significa essere il facilitatore del cambiamento di alcuni aspetti che il cliente vuole, più o meno in modo espresso, modificare:
– pensieri / atteggiamenti
– emozioni / reazioni
– comportamenti / abitudini
Le neuroscienze forniscono principi alla pratica delle professioni sanitarie e anche al coaching. Alcuni di questi principi, in particolare sette, vengono indicati in una pubblicazione della Yale Medical School di qualche anno fa, e sono legati a quella capacità del nostro cervello di cambiare (nel coaching attraverso un’interazione con l’altro, che genera un apprendimento) che i neuroscienziati chiamano neuroplasticità (leggi il libro Neuroscienze per Coach).
Coaching: sette principi dalle neuroscienze sono importanti per i coach e sono stati esposti con grande chiarezza dalla D.ssa Sara McKay:
1) Natura e cultura, sono entrambi fattori che modificano il nostro cervello. Il coaching potrebbe essere visto come la modalità di facilitazione che supporta l’evoluzione di percorsi neurali esistenti, frutto della genetica.
2) L’esperienza trasforma il cervello. Le varie aree del nostro cervello, associate ad emozioni e ricordi, come l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia cerebrale, possono cambiare, non sono fisse. L’esperienza è anche funzione delle emozioni che associamo ad essa e le nostre emozioni sono influenzate da tanti fattori: culturali, legati al nostro stato fisiologico, all’ambiente, etc.
3) I nostri ricordi sono imperfetti. Li “riscriviamo” ogni volta che riaccediamo ad essi; crescendo, andando avanti nella nostra esperienza, anche i ricordi si evolvono perché si confrontano con altre esperienze, altri apprendimenti acquisiti.
4) Le emozioni sono la base per la memoria. L’amigdala, che è fondamentale nell’attivazione emozionale, a sua volta interviene per modulare l’immagazzinamento dei ricordi.
5) La relazione è la base del cambiamento. Sia nell’infanzia che nell’età adulta, le relazioni hanno la capacità di generare cambiamenti positivi. A volte solo prendersi semplicemente cura può generare un cambiamento positivo. La relazione dunque ha la capacità di favorire la capacità di una persona di cambiare i propri percorsi neurali.
6) Immaginare e fare, per il cervello, sono la stessa cosa. Immaginare di fare qualcosa, attraverso visualizzazioni ad esempio, non solo interessa le stesse aree del cervello coinvolte in quella determinata azione, ma potenzialmente ne migliora la capacità.
7) Non siamo sempre consapevoli di ciò che il nostro cervello “pensa”. Ci sono processi di cui non siamo consapevoli, che hanno un grande impatto sui nostri pensieri ed emozioni. Il nostro cervello elabora informazioni non verbali e di cui non siamo consapevoli, e queste possono influenzare le relazioni. A questi processi non consapevoli possiamo reagire, senza spesso comprendere a cosa facesse riferimento questa reazione.
Il coach, dunque, è un facilitatore di un cambiamento che il cliente mette in atto. E’ importante essere consapevoli di come funziona questo cambiamento, di come le persone fanno esperienza, producono ricordi ed emozioni.
Fonte: https://drsarahmckay.com